Museo Diocesano di Ostuni 1^ sezione – Fondo archeologico capitolare

La Collezione

Il Museo Diocesano di Ostuni è situato al piano terra dell’antico Palazzo dell’Episcopio, che in passato ha ospitato i Vescovi della ‘Città Bianca’, sia quando questa era ancora Diocesi autonoma, sia dopo la sua unione alla vicina Arcidiocesi brindisina con la conseguente nascita dell’attuale Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.

Inaugurato nel luglio 2017, il museo è stato concepito per ospitare le opere d’arte provenienti dal Tesoro del Capitolo della Concattedrale, dalla Collezione Archeologica Capitolare e dalle locali chiese e dai monasteri di suore benedettine e carmelitane, fondato il primo nel 1519, il secondo nel 1730.

L’Archivio Capitolare della Cattedrale

L’Archivio Capitolare della Cattedrale di Ostuni conserva i documenti compilati dal Capitolo dei Canonici, storica istituzione ecclesiastica col compito di assolvere alle funzioni liturgiche più solenni. È una miniera di preziosi documenti a cui lo studioso attinge per ricostruire l’attività del Capitolo, la vita liturgica della Cattedrale e, non in ultimo, le vicende politiche e sociali del territorio di Ostuni. La documentazione più antica comprende pergamene risalenti alla fine del XII secolo. Bolle papali, atti istitutivi, privilegi e carte amministrative rientrano nel patrimonio conservato, che include anche le cosiddette «Conclusioni Capitolari», scritte a partire dalla seconda metà del XVI secolo.

Cattedrale di Ostuni

Il percorso espositivo, articolato in sei sezioni, si apre con i reperti archeologici di epoca messapica, databili tra V e III secolo a.C., che nell’Ottocento sono stati rinvenuti in un terreno di proprietà del Capitolo. Nella seconda sala sono esposti i paramenti e gli splendidi argenti impiegati a partire dal Cinquecento dai Vescovi e dal Collegio Capitolare ostunese durante le celebrazioni liturgiche e, in particolare, in occasione delle solennità. A un singolo e straordinario capolavoro è dedicata la sala successiva: si tratta del Crocifisso anatomico, rarissimo esempio di scultura in cera databile tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, provvisto di un’apertura sullo sterno che permette di osservarne le interiora. Nella quarta sala attendono il visitatore i dipinti, eseguiti tra Cinquecento e Ottocento, nella quinta la singolare statua snodata ‘da vestire’ della Santa Vergine del Settecento (di dimensioni naturali), mentre nell’ultima preziosi libri antichi documentano vicende storiche e proprietà ecclesiastiche ostunesi.

Facciata del Museo Diocesano in Piazza Beato Giovanni Paolo II

Ingresso del Museo Diocesano

Accanto a questo inestimabile patrimonio di reperti, di opere d’arte e di testimonianze letterarie, il museo espone una rara veduta della città di Ostuni, incisa nel 1703 per l’edizione de Il Regno di Napoli in prospettiva dell’abate benedettino Giovan Battista Pacichelli. Per rendere la visita un’esperienza piacevole, istruttiva e culturalmente stimolante, lungo tutto il percorso si trovano apposite didascalie, da ascoltare anche sul proprio smartphone, che spiegano in modo chiaro e semplice le opere esposte. Obiettivo principale del museo è di porre al centro il visitatore, adulto o bambino, per risvegliare attraverso un approccio innovativo la sua curiosità e alimentare la sua ‘fame’ di cultura.

Itinerario: da Piazza della Libertà alla Cattedrale

Ingresso Museo

Sede della direzione del Museo

Il Fondo Archeologico Capitolare – «Monumento della nostra patria»

Dicembre 1844: Negli Orti della Rosara, allora di proprietà del Capitolo Cattedrale, vengono rinvenute tombe di epoca messapica. I Messapi erano una popolazione illirica, stanziatasi in Puglia – nella penisola salentina – tra VII e III secolo a.C.


L’erudito Cosimo Arcangelo De Giorgi, nei suoi diari di viaggio pubblicati nel 1882, annota:

«Ho esaminato alcuni di questi sepolcri. Restano ad una profondità media da due a cinque metri dalla superficie del suolo, ed erano ricoperti da lastroni sui quali erano incise delle iscrizioni messapiche che andarono perdute. Gli ipogei invece, scavati nel carparo bianco erano di forma parallelepipeda, non avevano intonaco sulle pareti, non fregi architettonici; e l’altezza superava i due metri […] In tutti questi sepolcri si rinvennero oltre le iscrizioni, accanto agli scheletri, delle anfore, delle patere, degli unguentari, dei vasi in terracotta rustica e smaltata a una e due anse, delle lucerne fregiate di mascheroni, degli idoletti, dei giuocattoli da bimbi e via via».

Cosimo Arcangelo De Giorgi, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, Lecce 1882, vol. 1. L’11 gennaio 1845, convocato il Consiglio Capitolare al gran completo, il Canonico arcidiacono informa i confratelli del fortuito ritrovamento e manifesta la volontà di depositare i reperti in un apposito museo, allo scopo di «conservargli quali monumento della nostra patria». I reperti qui esposti, provenienti dalle tombe rinvenute negli Orti della Rosara, comprendono ceramiche a figure rosse, ceramiche apule a vernice nera, ceramiche di stile Gnathia e altre tipologie di ceramiche, tra le quali trozzelle, anfore, crateri, unguentari, lucerne e giocattoli.

Le trozzelle

Il termine «trozzella» qualifica una tipologia di vaso messapico, prodotta a partire dal VII secolo a.C. e in uso soprattutto tra IV e III secolo a.C., dagli alti manici delimitati da quattro rotelle, in dialetto salentino chiamate «trózzule» (dal latino «trochlea», che significa ‘carrucola’). Derivate forse dai vasi a carrucola usati per attingere l’acqua dai pozzi, questi crateri dalla grossa pancia, dal piccolo piede e dal collo a cono tronco vennero adoperati in ambito strettamente funerario, come corredo di donne illustri. Le trozzelle presentano in prevalenza decorazioni di tipo geometrico, realizzate a monocromo (con un solo colore) o in rosso e bruno sulla superficie dell’argilla cotta.

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Ceramica Apula di stile gnathia

La ceramica apula di stile Gnathia o «di Egnazia» identifica le terrecotte, databili tra IV e III secolo a.C., rinvenute per lo più in complessi tombali durante gli scavi condotti nel 1848 ad Egnazia, antica città di confine tra Brindisi e Bari, da Orazio chiamata «Gnathia» (Satire, libro I, V, v. 97), situata a 7 km da Fasano e attraversata dalla via Traiana.
Tale ceramica, recuperata anche nel territorio di Ostuni, discende visibilmente da quella italiota, presenta caratteri omogenei ed è riconoscibile dalla superficie ricoperta da vernice nera lucente su cui sono dipinte composizioni figurate (animali, satiri, menadi) tratte dal repertorio dionisiaco (di Diòniso, dio greco dell’ebbrezza, chiamato anche Bacco). Nei pezzi di epoca più tarda sulla superficie vengono realizzate baccellature (scanalature ornamentali) e le scene figurate sono sostituite da motivi geometrici o vegetali dipinti su fasce orizzontali lisce.

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Alcuni esemplari

Ceramiche apule a figure rosse e a vernice nera

La ceramica italiota identifica la produzione in terracotta dell’Italia meridionale sotto l’influenza greca, di cui la Puglia (l’Apulia) vantò la produzione più antica e più importante sul piano storico-artistico. La ceramica a figure rosse, databile tra V e inizi del III secolo a.C., è così chiamata per via della colorazione rossastra dei personaggi, dovuta alla cottura dell’argilla; la vernice nera, rilucente e parzialmente vetrificante, risparmiava infatti i contorni e i particolari delle figure dipinte sulle pareti dei vasi. Per quanto derivata dalla ceramica di produzione greca, quella apula assunse ben presto caratteristiche indipendenti, con vasi dalle forme variegate e figure delineate con sicurezza e rapidità.
Nonostante il favore estetico accordato alle ceramiche apule a figure rosse, quella a vernice nera, prodotta nel medesimo arco di tempo, conobbe una diffusione maggiore sull’intero territorio. Nell’ambito degli studi specialistici questa particolare tipologia di ceramica è stata spesso trascurata, eppure dalle sue forme e dalla qualità esecutiva che la contraddistingue si evince chiaramente tutta la sua importanza, che testimonia dell’evolversi del gusto e degli usi delle popolazioni indigene pugliesi.

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Alcuni esemplari

Il ritrovamento

Conclusioni Capitolari – Ostuni, Archivio Capitolare, vol. XXXI, pp. 44-45.
Nel verbale del Consiglio Capitolare dell’11 gennaio 1845, al secondo punto all’ordine del giorno, si legge:
«2°: Il Reverendo Arcidiacono darà conoscenza dei diversi vasi trovati nelle urne scoverte al giardino la rosara per quindi depositarli in un luogo proprio, da conservargli quali monumento della nostra patria, non che destinare l’uso a farsi delle lapidi, ed iscrizioni delle medesime urne».
«Sul secondo oggetto l’Arcidiacono ha presentato tutti i vasi che si sono trovati in tre sepolcri, mentre si faceva lo scavo per la costruzione dell’acquaro su menzionato, che sono stati nel numero, tra grandi, e piccoli di trentanove, quali si è risoluto di conservarsi nello stepo grande nella stanza nuova sopra la sagrestia, facendosi all’uopo una retina di ferro filato che chiuda li vasi anzidetti, da conservarsi la chiave dello stepo suddetto . _ dall’Archivario».

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Terrecotte figurate e giocattoli

Il corredo funerario dei Messapi era composto, oltre che dal vasellame ceramico di uso quotidiano, anche da figurazioni decorative, come busti femminili, e nel caso dei bambini morti prematuramente da giocattoli. In particolare questi ultimi possedevano un’alta valenza affettiva, poiché con essi i fanciulli avevano giocato ed emulato le azioni compiute dai genitori. Nel caso delle fanciulle, infatti, numerosi sono gli utensili da cucina riprodotti miniaturisticamente, come trozzelle e anfore, alcune finanche rifinite a vernice nera. Tra i compagni di gioco dei bambini rientravano anche i cosiddetti «tintinnabula» (termine latino che significa ‘campanello’ o ‘sonaglio’), fabbricati in terracotta e raffiguranti animali, soprattutto galli, maiali, cavalli, colombe e pesci, che venivano legati con una corda e portati a passeggio.

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Alcuni esemplari

Hydrie, brocche, coppe, tazze e scodelle

Tra gli oggetti ceramici deposti nelle sepolture messapiche rientra anche il vasellame di uso quotidiano, rispondente alle diverse esigenze materiali e databile in prevalenza tra IV e III secolo a.C. Brocche, coppe e scodelle sono i recipienti maggiormente diffusi e, nonostante la loro fattura molto semplice, rivelano particolari interessanti delle pratiche domestiche di questa popolazione. Le hydrie (dal greco che significa ‘acqua’) e le brocche hanno forme globulari (a forma di globo) e venivano utilizzate in genere per dispensare acqua o vino.

Alcuni esemplari

Unguentari e lucerne

Nella produzione ceramica messapica gli unguentari occuparono un posto di primo piano. Dalla conformazione fusiforme (a forma di fuso), piriforme (a forma di pera) o bulbiforme (a forma di bulbo), erano destinati a contenere essenze profumate, resine aromatiche, balsami, cosmetici o spezie; collocati all’interno delle tombe, dovevano diffondere fragranze in onore dei defunti. Gli unguentari, prodotti a livello locale soprattutto tra IV e III secolo a.C., avevano quasi sempre proporzioni modeste, che raramente superavano i 15 centimetri.
Le lucerne messapiche avevano sovente la superficie esterna rivestita di vernice nera. Un piccolo manico fungeva da impugnatura e attraverso il foro centrale veniva introdotto l’olio, che avrebbe alimentato la fiamma mediante lo stoppino che fuoriusciva dal becco. Oltre a essere utilizzate per l’illuminazione degli ambienti domestici ed esterni, rientravano per la loro alta funzione simbolico-rituale – finalizzata a rischiarare il cammino ultraterreno del defunto – tra i principali manufatti dei corredi funerari dei Messapi.

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Alcuni esemplari

Autore di testi e didascalie Dr. Teodoro De Giorgio – Storico dell’arte e curatore scientifico del Museo

Le sezioni del Museo:

Museo Diocesano di Ostuni 1^ sezione – Fondo archeologico capitolare 
Museo Diocesano di Ostuni 2^ sezione – Paramenti e argenti sacri 
Museo Diocesano di Ostuni 3^ Sezione – Crocifisso anatomico, Giardino dei Vescovi e Cortile
Museo Diocesano di Ostuni 4^ Sezione – La Pinacoteca
Museo Diocesano di Ostuni 5^ sezione – La statua ‘da vestire’ della Madonna del Rosario
Museo Diocesano di Ostuni 6^ Sezione – La memoria di Ostuni. Libri ed ex voto

Si ringrazia l’amico Mario Carlucci per la collaborazione

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